diMOSTRAinMOSTRA con la partecipazione di Alberto Biasi

 


diMOSTRAinMOSTRA 
Alberto Biasie il padre dell'OpArt e dell'Arte Programmata con  23 curatori x 23 artisti 
9 Dicembre ore 17.30 presso la Sala dei templari in Molfetta e durerà fino al 6 di Gennaio 2013 - 


Nei primi giorni del caldo luglio 2012 si è sviluppato presso le sale del Museo Diocesano di Molfetta, nell'ambito del Progetto Futur@ a responsabilità del Dott. Giuseppe Domenico De Bari - Creatività Giovanile promosso e sostenuto dal Dipartimento della Gioventù - Presidenza del consiglio dei ministri e dell' Associazione Nazionale Comuni Italiani, , un interessante Workshop "Come si fa una mostra", interamente curato dal Dott. Gaetano Centrone e sviluppato in collaborazione con i docenti dell'Accademia di Belle Arti di Brera Prof. Marco MeneguzzoIgnazio Gadaleta e Rachele Ferrario. Le 25 ore del Workshop conclusosi il 6 luglio hanno incentivato 23 partecipanti provenienti da diverse parti della nostra regione e non solo, ad organizzarsi in questi mesi per la conclusione del progetto, nella cura ed esposizione di altrettanti artisti del nostro territorio.

Nasce così "DImostraINmostra", una esposizione di 23 opere d'arte che sarà inaugurata insieme alla personale di Alberto Biasi il 19 Dicembre ore 17.30 in presenza di Nuccio Altieri, presso la Sala dei templari in Molfetta e durerà fino al 6 di Gennaio 2013.


Curatori/Artisti

ANNA LUCARELLI / RAFFAELLA DEL GIUDICE
LUCA POTENTE / GRAZIA DONATELLI
ANTONELLA DORONZO / FRANCESCO DADDARIO
ANTONELLA SPADAVECCHIA / ANGELA PALMIERI
CINZIA MATTEUCCI / PEPPE VOLPE
CRISTINA CAPUTO / ANTONELLA BUTTARI
NICOLETTA MONGELLI / FRANCESCO MANGINI
CRITELLI ALESSANDRA / CARLO SIMONE
DANIELA CONFETTI / NICA CIALDELLA
ELMA PLACIDO / ANNALISA ROSANO
MARIO GAMBATESA / AZZURRA DI VIRGILIO
FABIO SCHIAVONE / MARIANNA PETRONZI
FEDERICA MINUTO / CRISTIAN STEVE SCAMPINI
FRANCESCA DONVITO / ANTONIO ANTOSIANO
FRANCESCO DADDARIO / ANTONELLA DORONZO
LETIZIA ROUSSIN / ANTONIO MINUTO
LIVIA PAOLA DI CHIARA / MARIA ROSA COMPARATO
LORENZA BORRELLI / ANNA SANTOVITO
SALVATORE MODUGNO / LEO RAGNO
SARA MELEDANDRI / MARIANGELA CASSANO
TERESA PENSA / ANTONELLA RUTIGLIANO
WALTER CODA / MIRKO DI BRISCO
YAMUNA ILLUZZI / GIANNI DE SERIO

EGO CONTRO EGO. LA CRITICA TRA LE PIEGHE DELL’ARTE
CONTEMPORANEA

Una componente essenziale nell’economia di un processo espositivo è chiaramente il contributo critico, funzione il più delle volte espletata dal curatore stesso della mostra. Il proliferare di giornali e carta stampata prima, e di siti internet dopo, ha di fatto accompagnato il massivo dispiegarsi di situazioni espositive con un profluvio di parole ridondante, compiaciuto, eccessivo, spesso fuori luogo e decisamente fine a se stesso più che di aiuto alla lettura delle opere in questione. Anche al lettore più estemporaneo sarà chiaro che, ad una prima lettura comparativa, la critica d’arte dell’ultimo secolo ha compiuto un lungo e non sempre lineare percorso, mutando di pari passo con l’oggetto della sua indagine da una parte e la sovrastruttura che la sustanzia dall’altra, ovvero le arti visive e la filosofia. Se si prende ad esempio una figura cardine tanto della critica d’arte quanto della poesia moderne, Charles Baudelaire, risulterà poco utilizzabile per meglio comprendere le pratiche artistiche odierne, poco inclini alle sue riflessioni e considerazioni su estetica, etica, primato del disegno o del colore. Né d’altra parte aiuta il fatto che, oltre a dipinti e sculture, per lunghi tratti dell’epoca postmoderna marginalizzati e derisi, si siano imposti altri mezzi ormai a tutti noti quali video, performance, pratiche sul corpo, installazioni, opere ambientali, fotografie, happening. Così quello che colpisce di tali letture, che comunque conservano il loro fascino stilistico e la loro vivacità polemica, è l’ormai superata posizione che prevedeva il critico quale sommo esempio di giudice, in una ipotetica giuria che comprendeva ai suoi gradini più bassi il pubblico “borghese”, e che decretava cosa fosse arte da cosa fosse dilettantismo o stucchevole maniera o gretto provincialismo, con tanto di riflessioni etniche e sociali che oggi sarebbero a ragion veduta tacciate di inaccettabile razzismo. L’immenso Baudelaire, l’iniziatore del grande canto della piena modernità, la persona che con la sua vita e la sua opera letteraria ha abbattuto definitivamente – superandoli – i concetti di bene e male, di sano e corrotto, cantandone bellezza e postumi dalla sbornia regalati, ai nostri occhi di lettori scafati, pieni di animali di Hirst e crocifissioni di Nitsch, appare tanto lontano e archeologico quanto i resti del Partenone. Uno dei passaggi chiave recitava: “Credo in coscienza che la migliore critica sia quella che riesce dilettosa e poetica; non una critica fredda e algebrica, che, col pretesto di tutto spiegare, non sente né odio né amore, e si spoglia deliberatamente di ogni traccia di temperamento; ma, – riflessa dall’occhio di un artista – quella che farà vedere un quadro attraverso lo specchio di uno spirito intelligente e sensibile, se è vero che un bel quadro è la natura riflessa. Così la migliore recensione critica di un quadro potrà essere un sonetto o un’elegia”. Questa posizione fortemente estetizzante poneva il poeta-critico al centro del sistema, a scapito di logici, razionalisti e filosofi non a caso evocati nel capoverso successivo, messi fuorigioco chiaramente dalla loro scarsa propensione a scrivere in versi. E però non ci sentiamo di scaricare completamente questa visione delle cose, se dall’altra parte, almeno nel nostro Paese, si è fatta largo una critica d’arte fredda, algebrica e oltretutto incomprensibile, che ha fatto sfoggio di un lessico ricercato, cerebrale, e avvolto su se stesso. Lo scarto è probabilmente avvenuto intorno agli anni Cinquanta, nella critica di area romana, coparticolare riferimento a quanto di pari passo avveniva nelle esperienze artistiche. A differenza infatti di quanto avvenuto in altre arti della contemporaneità come la musica pop o il cinema, che hanno conosciuto momenti rivoluzionari negli anni Sessanta, nelle arti visive il decennio precedente ha visto una radicale serie di mutamenti che hanno portato le pratiche artistiche a esiti molto diversi da quelli immediatamente precedenti. La conferma arriva da libri di storia dell’arte e manuali editi negli ultimi anni, che appunto partono nei loro volumi dedicati alla contemporaneità proprio da quel periodo. Fontana, Burri e Rotella, con i loro tagli, i loro sacchi, i manifesti strappati, proprio in quel decennio segnano il definitivo distacco di una pittura e una scultura incentrate su colore, forma e armonia, facendo apparire assolutamente inadeguati gli strumenti critici fino ad allora utilizzati, in una scuola italiana dominata dalla figura di Lionello Venturi. A questo scarto in avanti la critica ha risposto gonfiando il petto ed iniziando a elaborare un proprio linguaggio a tratti falsamente tecnico, che ha avuto come risultato l’affermarsi di un altro sottogenere o filone letterario. All’opera contemporanea, spesso ostica per un pubblico medio che ha perso alla vista narrazioni, momenti lirici e riferimenti più o meno facilmente intellegibili, il testo critico ha aggiunto un’altra foresta di simboli, compiaciuta nella creazione di altri misteri che nessuno, a parte l’autore stesso, ha spesso potuto svelare. Un esercizio letterario che, seppur degno di attenzione e portatore di contenuti nei suoi momenti più alti, si è rivelato un disastro tout court nelle prove di minori ed epigoni, tutti alle prese con una rincorsa affannata al preziosismo e alla consultazione frenetica di dizionari, salvo poi rivelare scarsa dimestichezza con elementi basilari quali accenti e virgole. Un altro caso interessante di critica d’arte è quella esercitata da autori e personalità non strettamente inquadrati come critici ufficiali, e vale la pena ricordare qui i casi di due pesi massimi come Umberto Eco, autore nel 1962 di Arte programmata, a sostegno del gruppo di Munari, Mari, Anceschi, Boriani, Colombo, De Vecchi, Varisco e Gruppo N; e Ettore Sottsass jr, figura unica di designer, architetto, urbanista, pittore, viaggiatore, fotografo. Diquest’ultimo ci piace riportare qualche stralcio apparso sulla rivista «Domus» in origine, e ripreso da Romy Golan nel suo testo di presentazione della Michelangelo Pistoletto: Da Uno a Molti, 1956-1974 andata in scena a cavallo tra 2010 e 2011 prima al Philadelphia Museum of Art e successivamente al Maxxi di Roma: Mi sono venute tra le mani le foto dei quadri di Pistoletto e mi è stato chiesto di scrivere [...] su questo giovane [...] che [...] dipinge su lastre di acciaio inossidabile, detto inox, ombre o silhouttes di gente, ‘persona di schiena’ dice il titolo, ‘persona in piedi’, ‘persona che guarda’, ‘persona appoggiata’. [...] Quei personaggi [...] è come se aspettassero insieme a noi l’arrivo di un treno felice annunciato dal fischio all’orizzonte, un treno felice che in realtà non arriva mai, appesantito com’è dalle malinconie, dai destini, dai cadaveri, dalle migliaia e migliaia di vie Cibrario sparse nel mondo, risonanti di vecchi tramvai nei pomeriggi di domenica, di scarpe buone messe il pomeriggio di domenica, di faticose digestioni di cardi, aglio e vino pesante nei pomeriggi di domenica, di western ululanti, odorosi di bucce di arance [...] Questo ragazzo che si chiama Michelangelo Pistoletto [...] non c’entra niente coi pittori POP [...] Sono certo che il POP non c’entra perchè a Torino, e forse in tutta l’Italia, non ci sono le premesse per diventare pittori POP: non c’è quella pressione soffocante e invincibile, il Coca-Cola americano, non c’è il vermouth ‘Perlino’, non c’è la corruzione post-gangster, non c’è la violenza post-cowboys, non ci sono le vamps, [...] si pratica poco il birth-control, [...] si usano poco i deodoranti e invece si gioca ancora alle bocce, ci si mette ancora il pigiama o la camicia da notte per andare a dormire, si cuoce ancora la pasta asciutta, si schiacciano ancora i pomodori, si fanno ancora queste cose. Al Bar Torino, in piazza San Carlo, si beve il Punt e Mes seduti su piccole sedie di stile barocco e si mangia forse molto gelato [...] ma poco ice cream. [...] Così io direi che questo ragazzo di Torino è un poeta sul serio, anche se forse meno preciso e causticoche non siano i ragazzi di New York, i Lichtenstein, i Rosenquist, i Rauschenberg, gli Oldenburg, i Chamberlain nel raccontarci la situazione del nostro dramma, il caso della nostra storia.2 Abbiamo fatto davvero fatica a tagliare alcuni passaggi di questo brano, ispirato e godibilissimo, sul “ragazzo” Pistoletto, scritto da un vero e proprio genio multiforme. Non si tratterà del sonetto o dell’elegia invocati da Baudelaire, ma qui la prosa è senza dubbio venata di carattere poetico e rivela un indiscutibile talento evocativo. Certo aiuta il fatto che, prima del poverismo e della radicalizzazione del medium espressivo, in quel periodo l’artista di Biella ancora si rifacesse ad un mondo sensibile riportato nelle sue silhouette, in una grande narrazione che Sottsass coglieva e ricollegava ad un immaginario estetico magnificamente dispiegato. Nella sua evocazione Torino e l’Italia tutta si delineano come una grande provincia, ancora legata a gesti quotidiani e contraddistinta da una umanità caratterizzata da una sensibilità diffusa. Non si fa ricorso a nessun tecnicismo e a nessun vocabolario oscurantista, eppure la scrittura non ne risente a livello di dignità letteraria ed anzi ne guadagna in quanto a ispirazione e freschezza. Uno dei punti di forza di questo testo è anche la capacita evocativa di condivisione, di un immaginario e di un sentire che si riesce a definire come collettivi, non limitati al solo operare dell’artista o scrivere del critico. L’altro fattore importante che emerge è il relegare il giudizio esclusivamente alle battute finali “questo ragazzo di Torino è un poeta sul serio”, proprio per la forza e l’autenticità della sua arte, non per l’appartenere a questa corrente e tendenza. Anzi, montalianamente si può dire solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, ovvero nello specifico la non appartenenza alla corrente pop sentita come fenomeno prettamente a stelle e strisce. Un nodo fondamentale, parlando di critica d’arte, riguarda proprio la figura del critico oggi e il suo ruolo e presenza nel nostro Paese. Il critico d’arte quasi sempre oltre a scrivere esercita altre professioni contigue nel mondo dell’arte, che possono essere delle docenze in scuole, università o accademie oppure lavora come curatore in qualche museo o istituzione. Quasi assente da noi la figura del curatore di gallerie private, pure presente nel mondo anglosassone. È doveroso sottolineare le sconfinate ingerenze della politica nelle istituzioni museali italiane, così come avviene in tutti gli altri settori, da quello medico alla stampa, con il risultato che le figure professionali lavoranti e accreditate presso i musei sono escusivamente appannaggio dei ministri, dei loro amici, e degli amici degli amici. Per il resto dei comuni mortali non rimane che la strada, nobilissima tra l’altro, dell’insegnamento. La storia dell’arte contemporanea è entrata abbastanza recentemente tra le materie di insegnamento universitario, a lunga sovrastata dai dipartimenti di medievale e moderna, manco a dirlo estesi in lungo e in largo per via del nostro sconfinato patrimonio. Ma ha catturato un’attenzione particolarissima a partire sicuramente dagli anni Settanta, e non soltanto nelle capitali del contemporaneo come Torino e Milano, ma anche in una regione come la nostra che ha visto il fiorire di artisti, critici, gallerie e fiere. La figura del critico d’arte militante ha via via sostituito, in certi segmenti, la figura dello storico d’arte impolverato, più consono com’è ovvio allo studio dell’arte del passato. Questo mutamento ha provocato una domanda di stretta attualità: come si connota attualmente il critico? Superata la teoria della piena modernità secondo la quale il critico era fondamentalmente colui che emetteva un giudizio, esprimeva l’aderenza o meno ai canoni ritenuti ideali dall’estetica, la questione ha presentato diverse possibilità. C’è chi sostiene che il critico dovrebbe riferirsi ai sistemi culturologici ed analizzare dunque l’arte secondo una serie di sistemi e riferimenti alla cultura coeva in senso lato, e chi invece, all’estremo opposto, propugna una figura manageriale del critico, impegnato nella promozione e valorizzazione del prodotto che ha per le mani. L’esempio massimo di questa via mercantile ha trovato grande successo nel nostro Paese a partire dal 1980, grazie al potere del mercato e ad operazioni studiate a tavolino che hanno fruttato per generazioni. Una possibilità che ha anche sfondato a livello mediatico. La nostra posizione è diversa, restando noi convinti che la critica abbia un grande e importante compito, ovvero quello di avvicinare, quanto più possibile, il grande pubblico ad un sapere che si vorrebbe universale, patrimonio di tutti, ma che il più delle volte rimane nei discorsi di pochi, lasciando al popolo e alla provincia questa messe di mostre sull’impressionismo, che hanno francamente stancato, e sono di riposo alla mente, oltre che agli occhi. Una critica seria, competente, che non citi Wittgenstein o Heidegger senza averli letti, ma che aiuti a scovare e leggere i tanti “ragazzi Pistoletto” che pure affollano i nostri bar di periferia, inquieti con il loro sguardo sul mondo, eppur sollevati dall’esser lontani da Corso Como.

BIBLIOGRAFIA
C. BAUDELAIRE, Opere, Mondadori – I Meridiani, Milano 1998.
G. DORFLES, Ultime tendenze nell’arte d’oggi. Dall’Informale al Neooggettuale,
Feltrinelli, Milano 2003.
F. JAMESON, Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo,
Garzanti, Milano 1989.
L. VENTURI, Storia della critica d’arte, Einaudi, Torino 1964.



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